Neurofeedback Neuroptimal
Neurofeedback Dinamico non lineare NeurOptimal®
Il neurofeedback dinamico non lineare NeurOptimal® è uno strumento di benessere (non un dispositivo medico) che allena il cervello a funzionare in maniera ottimale, facilitando nuovi processi adattivi.
La vita che si conduce, spesso costellata da situazioni stressanti, sfide, difficoltà lavorative e scolastiche ma anche complesse situazioni relazionali, ci porta in maniera difensiva ad attivare meccanismi che inizialmente sono utili per gestire le situazioni nell’emergenza, ma nel lungo periodo si dimostrano non più efficaci ad affrontare gli eventi della vita. Ci si trova bloccati e irrigiditi in situazioni dalle quali non si riesce ad uscire, incapaci di riattivare le proprie risorse.
NeurOptimal® fornisce un training che stimola il cervello in modo naturale, non invasivo e senza effetti collaterali ad essere più presente e più efficace in ogni momento, stimolando funzioni cerebrali sane e riattivando le nostre capacità.
L’effetto è una mente più aperta, positiva e flessibile, in cui gli ostacoli e i problemi sono più gestibili poiché si è allenato il cervello a sfruttare il proprio potenziale in maniera maggiormente integrata.
Questo allenamento porta ad una miglior gestione dello stress, all’aumento del benessere psicofisico, delle abilità e delle performance di adulti, adolescenti e bambini.
COME FUNZIONA?
La persona durante una sessione di neurofeedback è seduta comodamente su una poltrona, con dei sensori posizionati sul cuoio capelluto, mentre ascolta della musica rilassante.
Il Neurofeedback Dinamico Neuroptimal® allena il funzionamento cerebrale ad auto-regolarsi attraverso l’udito. La musica e alcune sue brevi interruzioni sono i vettori mediante i quali il software agisce.
Il nostro cervello produce un’attività elettrica che viene rilevata da questi sensori e visualizzata su un monitor in tempo reale come se osservassimo ad uno specchio le variazioni della nostra attività e utilizzassimo tali informazioni per modificarle a nostro personale vantaggio e soggettivo benessere.
Grazie ad uno specifico algoritmo, il software NeurOptimal® analizza le informazioni ed individua quelli che vengono chiamati: eccessi di variabilità interna e li segnala attraverso l’interruzione della musica che la persona sta ascoltando. Essendo l’individuo umano molto sensibile alla coerenza della melodia, l’interruzione viene percepita come qualcosa che disattende le aspettative. Quindi questo segnale diventa un feedback che informa il cervello di una sua eccedenza, stimolandolo gradualmente a riorganizzarsi. Questo porta a una diminuzione degli eccessi di variabilità interna e favorisce un processo di autoregolazione che aumentando la flessibilità.
PERCHE’ UTILIZZARLO?
Per migliorare:
- La qualità della vita, le prestazioni, la padronanza e la sicurezza in ambito lavorative, scolastico, sportivo e artistico
- La gestione dello stress e il rilassamento
- Gli stati di affaticamento e stanchezza
- La gestione del sonno
- La proattività, la flessibilità, l’attenzione e l’autostima
- Il livello di apprendimento, concentrazione, risoluzione dei problemi
CHI PUO’ USARLO?
Il Neurofeedback Dinamico non lineare Neuroptimal®, può essere usato ad ogni età e non ci sono patologie interferenti all’utilizzo.
Il neurofeedback dinamico non lineare è riconosciuto (Ottobre 2018) dalla Food and Drug Administration americana come “general wellness”, cioè come generale strumento di benessere.
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Autismo: Stress Evolutivo o Evoluzione Autistica?
Roberto Carlo Russo
Alle sindromi autistiche appartengono tutte quelle forme in cui il nucleo patogenetico, agente nei primi tre anni di vita, è costituito da un grave disturbo della comunicazione sostenuta da diverse cause ipotizzate: fattori organici, mutazioni genetiche, alterazioni metaboliche, carenze neurofunzionali, inadeguati modelli di riferimento, fattori che condizionano una difficoltà da parte dei modelli (anche potenzialmente adeguati) di rapportarsi alle caratteristiche neurobiologiche che si differenziano da una norma evolutiva.
La sintomatologia di autistico è secondaria ad una distorsione del processo evolutivo: attaccamento alla figura materna, separazione-individuazione, conquista della propria indipendenza, adattamento alla realtà nel suo duplice aspetto gratificante-frustrante, acquisizione di competenze, socializzazione. Il bambino non riesce, o lo fa in modo incompleto o alterato, a rapportare le acquisizioni del processo neuromaturativo (normale o patologico) alle stimolazioni ambientali, con la conseguenza di una mancata unicità tra le proprie condizioni vitali ed il significato che queste possono assumere nel rapporto con l’ambiente.
Il momento di distorsione o di rottura della relazione con l’ambiente può essere presente alla nascita o verificarsi ad un dato livello evolutivo ed ivi strutturare il proprio nucleo patogenetico, oppure può essere costituito da diversi livelli evolutivi ognuno dei quali contribuisce a organizzare un complesso quadro sindromico. Le manifestazioni del disturbo autistico possono esser presenti già nel primo anno, più frequentemente nel corso del secondo o terzo anno o comparire in età successive con sintomatologie più complesse. La problematica fondamentale è l’assente o alterato disturbo della comunicazione verbale e corporea.
Le impostazioni teoriche sulla genesi dell’autismo hanno condizionato diverse modalità di approccio sia per la diagnosi che per la terapia. Sono stati creati test specifici (CHAT, CARS2, ASRS, ADOS2, ADI ed altri) per formulare la diagnosi di autismo.
Muratori, Narzisi, Cioni (2011) hanno rimarcato l’importanza di una diagnosi precoce tramite l’osservazione prolungata del bambino e il completamento con un’intervista fatta ai genitori.
Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito ad un aumento considerevole delle diagnosi di autismo legate certamente ad una maggiore richiesta, a maggiori visite nei primi tre anni, ma anche dovute alla tendenza ad interpretare in modo superficiale il comportamento del bambino non mettendolo in relazione al rapporto con le figure genitoriali e considerando poco il ruolo degli eventi stressanti. Inoltre l’aumento delle diagnosi si è verificato anche per l’uso spesso esclusivo del test escludendo una competente osservazione del bambino.
Frequentemente si è persa in fase diagnostica la disponibilità, per carenza di tempo o per scelta, ad osservare a lungo il bambino nelle sue attività quotidiane, nei giochi, nelle modalità a rapportarsi alle figure parentali ed in particolare alla madre, al variare del comportamento in rapporto alle modifiche ambientali (casa, al parco, nido e con altri bambini). L’osservazione del bambino viene spesso delegata alla psicomotricista, frequentemente con l’uso esclusivo dei test.
Diversi autori in questi ultimi 20 anni, considerate le ricerche sulla notevole disparità di frequenza dell’autismo, hanno iniziato ad affrontare il problema in un’ottica socio-ambientale come potenziale causa di diversi disturbi nella prima infanzia. L’analisi delle problematiche sociali (guerre, dittature, epidemie, carenze economiche, carestie, migrazioni, intrecci di culture, imposizioni religiose, disastri ambientali) hanno spesso evidenziato una specifica fragilità nei primi anni di vita del bambino.
Come si evince dal titolo l’obiettivo di questo articolo è quello di evidenziare, specie nella fascia 12-36 mesi, alcuni tipi di manifestazione con caratteristiche significative a seguito di situazioni particolari. Viene analizzata la sintomatologia di tipo autistico a seguito di stress evolutivo[1] e indagata l’analisi dei fattori individuali e/o ambientali ad effetto disturbante o limitante il processo evolutivo. Nella fascia 12-36 mesi l’evoluzione di tale sintomatologia può risolversi per interventi adeguati o creare il presupposto per il definirsi in una sindrome di tipo autistico.
L’aumento considerevole dei disturbi evolutivi ha portato alla frequente diagnosi di autismo, potenzialmente facilitato da un incremento delle difficoltà familiari e sociali, da un aumento dell’immigrazione, da fattori disfunzionali, da disgenesie, da carenza specifiche, ma anche da impostazioni diagnostiche superficiali che hanno ricercato una parziale risoluzione del problema a scuola solo con l’inserimento di una educatrice o dell’insegnate di sostegno (Zappella, 2018). Si è così facilmente arrivati all’etichetta autistica[2] che il bambino, dal momento della prima diagnosi, rischia di portarsi appresso fino alle scuole medie e superiori per la tendenza a non modificare la diagnosi anche quando i sintomi autistici o presunti tali non sono più presenti.
Rivedere la diagnosi in un’ottica allargata permette di riconoscere che le dinamiche possono assumere aspetti complessi tali da determinare distorsioni del processo evolutivo.
Epidemiologia[3]
L’epidemiologia dell’autismo ha dato riscontri molto diversi dai primi anni di identificazione della sindrome autistica (Kanner 1943, 2 casi su 10.000) ad oggi.
Lotter (1966) a Londra su 78.000 bambini di età 8-10 anni evidenziò 135 casi sospetti in seguito confermò la diagnosi in 35 casi con la corrispondenza del 4,5 su 10.000.
Gillbert ed altri (1990) in 28 bambini segnalati per disturbo autistico, e seguiti per diversi anni, hanno confermato la diagnosi nel 75% dei casi.
Rutter ed altri (1999) in bambini orfani ospiti d’Istituti hanno riscontrato frequenti sintomi di tipo autistico e frequente evitamento dello sguardo.
Wing e Potter (2002) affermano che l’aumento di incidenza dello spettro autistico possa essere dovuto a cambiamenti dei criteri di diagnosi e a una maggiore consapevolezza dei genitori e dei professionisti; gli autori pongono un dubbio sulla consistenza dell’aumento dei bambini con spettro autistico e su come varierà in futuro.
Kleinman ed altri (2008) hanno notato, in diverse ricerche condotte, che è difficile distinguere i bambini con Sindrome Autistica dai bambini con uno sviluppo globale gravemente ritardato nella fascia d’età di 2-3 anni. Gli autori hanno ipotizzato una corretta diagnosi iniziale, ma in seguito modificabile per altri fattori intervenuti con significato evolutivo, tali da far superare i sintomi di tipo autistico ed evolvere verso altri disturbi dello sviluppo (ritardo del linguaggio e/o delle funzioni psichiche superiori, disturbi del comportamento).
Elsanbbag ed altri (2012), in una revisione epidemiologica sull’autismo a livello mondiale relativa ad una popolazione complessiva di oltre 20.000.000 bambini in 26 nazioni, hanno riscontrato una frequenza di autismo estremamente variabile su campioni di 10.000 casi (da 0,7 a 189, con una media di 62).
Waterhouse (2012, 2014) ha affermato nel suo libro che l’autismo non dovrebbe essere considerato una patologia definita, ma un complesso di sintomi sostenuto da cause diverse.
In merito all’aumento della frequenza e al rapporto tra cause organiche e ambientali Tribulato (2020) così si esprime nel suo libro.
L’aumento di questa frequenza, come di tutte le altre malattie psichiche, che si è verificato in questi ultimi decenni nella popolazione generale, contrasta con le cause genetiche od organiche, mentre può essere spiegato dai notevoli cambiamenti lavorativi, sociali e familiari, sopravvenuti nello stesso periodo nella nostra società. Si pensi soltanto alla diminuzione delle ore trascorse dai genitori con i figli, al notevole incremento delle separazioni, dei divorzi, dei conflitti coniugali. Si rifletta sull’invasione dei mass-media nella vita familiare e sulle situazioni stressanti subite dai genitori quando entrambi sono impegnati nel lavoro.
Zappella (2021) nel libro Bambini con l’etichetta riporta la diversa incidenza in alcune nazioni.
Svezia da 4/10000 nel 1980 a 246/10000 nel 2011
Stati Uniti da 34/10000 nel1996 a 250/10000 nel 2016
Islanda da 3,6/10000 nel 1974 a 120/10000 nel 1994
Finlandia da 6,1/10000 nel 2000 a 120/1000 nel 2010
Inghilterra da 4/10000 nel 1970 a 98/1000 nel 2007
Francia da 4,9/10000 a 41/10000 nel 2003
Germania da 22/10000 nel 2007 a 38/10000 nel 2012
Cina 27,5/10000
Corea Sud 264/10000
Cina su 44 studi su criteri diagnostici 39,23/10000
Cina su 44 studi su Test psicologici 429/10000 per lo Spettro autistico
Cina su 44 studi su Test psicologici 252/10000 per l’autismo
Circa 1/4 dei bambini autistici presenta un livello intellettivo nella norma, mentre il restante evidenzia un livello inferiore o grave. Il rapporto maschi-femmine è di circa 4 a 1.
Eziopatogenesi
Spitz (1958) aveva segnalato come bambini nel corso del secondo anno potevano incorrere in turbe psicotossiche ed anche nella sindrome anaclitica a causa di prolungati ricoveri ospedalieri e relativa privazione della figura materna, chiaro significato di stress evolutivo. L’Autore segnalava anche la possibilità di un recupero completo o parziale se fossero ripristinate in tempo utile le relazioni affettive del bambino.
Diversi autori hanno ipotizzato come situazioni deficitarie (ritardi evolutivi, danni neurologici, encefalopatie dismetaboliche, sindromi genetiche) possano creare i presupposti per una difficoltà comunicativa e facilitare l’evoluzione verso una sintomatologia di tipo autistica.
È stata riconosciuta l’importanza di approfondire la realtà dinamica del bambino all’interno della sua famiglia e della scuola; tra questi Michele Zappella (1996) afferma “la mente umana ha bisogno per crescere di un’altra mente adulta che condivida i suoi significati, che dia a questi un senso” ed ha sostenuto la necessità di una approfondita conoscenza delle dinamiche tra i membri della famiglia utilizzando anche le visite domiciliari e raccomandando un approccio globale. Bowlby (1988) sostiene che la maggior parte dei disturbi psichici dell’infanzia siano dovuti da influenze ambientali e la relativa possibilità di modifiche.
McKenzie e Dallos (2017) studiando bambini con disturbi dell’attaccamento hanno riscontrato sintomi in comune con l’autismo ed hanno sostenuto l’importanza di una corretta valutazione clinica.
Nomata-Uematsu ed altri (2018) hanno riscontrato con sintomi di tipo autistico bambini con precoce e prolungato uso di cellulare e TV, situazioni che hanno creato difficoltà di assegnazione diagnostica a un disturbo di tipo autistico o ad altro disturbo.
Benedetti G. (2020) rimarca l’importanza di conoscere in modo approfondito lo sviluppo del bambino, sottolineando che le difficoltà dell’ambiente familiare possano determinare ritardi o deviazioni evolutive tali da essere interpretati come sindromi autistiche.
Oltre ai fattori organici e ambientali che possono creare difficoltà alla comunicazione, non vanno sottovalutate alcune carenze o ritardi nell’organizzazione funzionale motoria, visiva, uditiva, percettiva, spesso poco identificabili dai familiari. Tali difficoltà possono portare ad un disturbo della comunicazione che se perdura può strutturarsi in una sindrome di tipo autistico.
Molti decenni fa nasce l’interesse per le modalità percettive anomale riscontrabili in diverse patologie e tra queste anche nelle sindromi autistiche. Negli ultimi trenta anni diversi autori hanno studiato il tipo delle esperienze sensoriali nelle sindromi autistiche, stimolati dal sospetto che alcune manifestazioni comportamentali atipiche potessero essere sostenute da disturbi delle sensazioni o dall’elaborazione dei dati percettivi.
Baranek ed altri (2006), sottolineando la carenza di ricerche sulle caratteristiche sensoriali nell’autismo, ha menzionato la frequenza nell’autismo di due modelli sensoriali: ipo-reattività e iper-reattività, tali da coinvolgere le diverse sensibilità con riflessi nella comunicazione.
La presenza di disturbi specifici di alcune neurofunzioni è stata sostenuta anche da Greenspan e Wieder (1997).
Bergman e Escalona (2017) confermano la possibilità di sensibilità insolite (visive, uditive, tattili, cenestesiche, propriocettive, olfattive, gustative) che sembravano avere un effetto particolare in alcuni bambini nei primi anni di vita.
Russo R.C. (2020, dati non pubblicati) ha riscontrato in un bambino di 8 mesi, affetto da depressione, disinteresse per gli oggetti, mancato afferramento e indifferenza per gli stimoli ambientali, un disturbo dell’integrazione tra movimenti oculari e quelli del capo, date le opportune indicazioni ai genitori di offrire l’oggetto immobilizzando il capo, il problema disfunzionale si è risolto in un mese e normale recupero successivo del tempo esperienziale perso. Riesce facile l’ipotesi che in questo caso se la situazione disfunzionale fosse rimasta anche per diversi mesi successivi, il bambino non avrebbe potuto costruire la realtà oggettuale tramite la manipolazione e probabilmente si sarebbe strutturata una sindrome di tipo autistica.
Le neuroscienze sostengono la natura multimodale dei processi sensoriali e pertanto è ipotizzabile che un’alterata sensazione possa determinare il coinvolgimento funzionale di altre esperienze percettive e dare una percezione personale della realtà (Schroeder, Foxe, 2004).
I cervelli dei mammiferi subiscono enorme potatura sinaptica durante l’infanzia. La regolazione neuronale è un meccanismo recentemente osservato atto a mantenere attivo il flusso continuo di modifiche sinaptiche per rimuovere le sinapsi più deboli e rafforzare quelle più utili (Chechik G., Meilison I., Ruppin E., 1999).
Gli studi anatomici post mortem evidenziano che insufficiente o eccessiva potatura sinaptica può essere alla base di diversi disturbi dello sviluppo neurologico, tra i quali è stato ipotizzato, oltre a diverse patologie, anche l’autismo (Neniskyte U., Gross C.T., 2017)
Alcuni autori hanno sostenuto la genesi genetica per l’autismo, ma una riflessione più coerente alla realtà ci informa, tramite le analisi dei corredi genetici e l’eugenetica, che il nostro corredo genetico presenta numerose variabili e non tutte realizzano una patologia. Nello sviluppo il corredo genetico definisce le potenziali evolutive che dovranno confrontarsi con le esperienze vissute, sostenute dalle motivazioni e adattate a nuove possibilità, plasmeranno la rete neuronale per l’evoluzione.
La genetica ha confermato che i caratteri più comuni sono influenzati da numerosi geni, ognuno dei quali esercita un modesto effetto, ma l’assieme definisce il fenotipo di quel carattere (Asbury, Plomin, 2014). Anche per le sindromi autistiche potremmo accettare l’idea di un complesso genetico variamente espresso per la disponibilità alla corretta ricezione e analisi degli stimoli essenziali per la comunicazione con l’altro, ma l’espressività del comportamento è fortemente condizionata dall’ambiente per una normale o distorta realizzazione.
Il processo evolutivo richiede di continuo l’intervento dell’ambiente con i relativi stimoli e condizionamenti, la cui carenza o distorsione rispetto alla norma può indurre anomalie di sviluppo.
La storia evolutiva dell’homo sapiens dalle origini ad oggi mostra la grande difficoltà di equilibrio in rapporto al reale e in particolare nei confronti del processo di socializzazione che rimarca, con le guerre, i genocidi, le torture, gli omicidi, gli stupri, i profitti illeciti e le sopraffazioni quanto sia ancora precario questo processo. Ne consegue che le competenze dell’umano possono realizzarsi in modo errato sia nell’organizzazione sociale che nella conduzione del rapporto educativo dei bambini (Benedetti 2020, Novara 2017, Russo 1997, Tribulato 2005, 2020, Zappella 1996, 2018, 2021).
Anche il marcato divario tra modelli genitoriali e modelli sociali, sostenuti dalla sempre più carente fiducia nelle istituzioni[4], i condizionamenti religiosi, i conflitti d’impostazione educativa tra
genitori e figure scolastiche, la eccessiva perdita di un sano buon senso pratico, giustifica in buona parte l’aumento delle problematiche evolutive.
Le carenze su base organica o disfunzionale generano difficoltà evolutive che, se comprese e con l’intervento competente, possono aiutare il bambino usufruendo di stimoli adeguati alle reali potenzialità. L’esempio dell’evoluzione dei bambini con sindrome di Down chiarisce le notevoli modifiche evolutive positive a seguito di adeguati apporti educativi e l’inserimento sociale dal 1977[5], rispetto agli anni 1950-1960 nei quali spesso i bambini down venivano tenuti chiusi in casa o frequentavano le Scuole Speciali o Istituti di ricovero.
Forse anche per le sindromi autistiche si potrà in un prossimo futuro intervenire in tempi precoci con impostazioni adeguate e supporti educativi e terapeutici atti a comprendere le carenze specifiche, i disturbi funzionali e le difficoltà dell’ambiente familiare e sociale a rapportarsi con modalità adeguate, permettendo di evitare le diagnosi sbagliate con le conseguenze etiche, di sofferenza delle persone ed economiche per la società
Classificazione nosografica
Oltre alla diversa interpretazione della genesi, si riscontra una confusione nell’uso dei termini: negli anni 1940-1960 l’uso privilegiato era autismo, poi psicosi, a partire dagli anni 80 di nuovo autismo. Nel 1968 il Congresso Internazionale promosso dall’OMS riconosceva sotto il termine «psicosi del periodo infantile» quattro gruppi: psicosi infantili (insorgenza nei primi due anni di vita) che inglobava anche la definizione di «autismo», psicosi disintegrative (insorgenza dopo i due anni e preceduta da una evoluzione nella norma), schizofrenie infantili (a insorgenza nel periodo pre-pubere) e altre psicosi (tra queste erano comprese quelle di innesto su forme organiche). Attualmente il DSM5 ha introdotto il termine Spettro Autistico basato su due caratteristiche: deficit persistente della comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti, pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi. In questa classificazione sono stati eliminate la disarmonia psicotica di Misés e la sindrome di Asperger in quanto rientrano nella tipologia definita Spettro Autistico che include tutte le variabili.
L’ICD10 menziona il gruppo «sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico. L’ICD10 in questo raggruppamento comprende: autismo infantile (comparsa entro i tre anni e definita da grave anomalia del comportamento sociale, della comunicazione e della reciprocità emozionale con l’altro), autismo atipico (si differenzia dalla prima forma per l’insorgenza dopo i tre anni e per l’incompletezza della sintomatologia autistica), sindrome di Rett (dovrebbe assolutamente essere esclusa in questo capitolo per la sua dimostrazione nel 1999 di tipologia genetica che condiziona il comportamento), sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (assimilabile alla forma disintegrativa del 1968), sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati (ancora molto discussa la sua appartenenza a questo gruppo), sindrome di Asperger (attualmente non più diagnosticata dalla maggior parte degli autori che la includono nelle sindromi dello spettro autistico), altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico.
A complicare l’inquadramento nosografico sono state riconosciute, proposte dalla scuola francese, ma non universalmente accettate, altre entità: le disarmonie evolutive (Misé, 1975, 1990) e tra queste quelle di tipo psicotico; queste forme hanno come elemento caratterizzante un «Io a mosaico» che induce un comportamento a volte simil-normale a volte di tipo autistico a seconda della situazione ambientale. L’insorgenza delle manifestazioni è successiva ai tre anni, assume caratteristiche diverse nei soggetti che ne sono affetti, ma la genesi del problema (così come frequentemente riscontrato nel processo terapeutico) e individuabile nei primi due anni di vita. Probabilmente queste disarmonie potrebbero essere avvicinabili al gruppo delle psicosi disintegrative, ma con un migliore funzionamento mentale. La disarmonia evolutiva di tipo psicotico di Misé attualmente può rientrare nelle sindromi dello spettro autistico.
A tutt’oggi il problema diagnostico, nosografico ed eziologico delle psicosi infantili, dell’autismo e delle disarmonie evolutive psicotiche, tutte inseribili nel gruppo «sindromi da alterazione globale dello sviluppo» o «disturbi pervasivi dello sviluppo», sono ancora soggette a future modifiche sulla base degli studi più recenti e di quelli futuri. Sembra infatti che la controversia tra genesi organica e relazionale di queste sindromi sia un campo ancora soggetto a nuove impostazioni e modifiche nosografiche. Questi contrasti di impostazioni hanno una loro significativa importanza in quanto l’approccio terapeutico coinvolgerà metodiche diverse a seconda dei fattori eziopatogenetici che hanno determinato le sindromi.
A parte la perenne diatriba su questo o quel nome, sull’inclusione o esclusione da un gruppo nosografico e sulla diversa genesi, ci potremmo domandare quale fattore comune possa collegare le diverse sindromi sopra citate, quale sia la leva principale e comune a tutti i casi, che impedisce al bambino di rapportarsi agli altri, di socializzare, di comunicare e di acquisire un discreto rapporto di realtà.
Sintomatologia
Nell’osservare i bambini affetti da sindrome di tipo autistico i sintomi evidenziabili sono numerosi, variamente espressi e commisti: disturbo della comunicazione, emozionalità inadeguata alla situazione, sguardo sfuggente, assenza di gesti anticipatori, carenza di adattamenti intensionali al corpo dell’altro, mancanza d’immaginazione, resistenza al cambiamento, anomalie o assenza della comunicazione verbale e/o corporea, carente o assente imitazione dell’adulto, uso bizzarro del corpo, disturbi dell’oralità, attività di auto stimolazione, uso peculiare degli oggetti, particolarità delle analisi visive e uditive, uniformità delle prestazioni intellettive.
Alcuni comportamenti risultano particolarmente evidenti e significativi: l’ansia, l’intolleranza alle modifiche rispetto ad una propria realtà, il rifiuto dei modelli evolutivi, l’assenza o limitata gratificazione nel rapporto corporeo con le figure di riferimento, il disinteresse per i coetanei, l’intolleranza alle frustrazioni, il mancato adattamento alle variabili, il rifiuto delle regole comunitarie. Questi comportamenti sono variamente presenti e più o meno prevalenti nei diversi individui, a volte variabili, ma comunicanti in modo evidente l’insoddisfazione e il malessere nel rapporto con l’ambiente o l’incapacità a trovare una linea di comunicazione consona con la loro realtà. È come se volessero segnalare la loro impossibilità ad accettare un ambiente incoerente rispetto alle proprie potenzialità biologiche e alle proprie necessità di aiuto alla progressione evolutiva.
La carente comprensione dell’adulto per le necessità evolutive del bambino, determina l’isolamento, l’assenza di comunicazione, il rifiuto o la limitazione ad accettare l’altro in qualità di guida, il rifugio nell’oggetto feticcio, la ricerca di auto-gratificazione tramite le stereotipie, oppure induce atteggiamenti prolungati di rivalsa contro tutto e tutti (spesso anche contro sé stesso) con manifestazioni aggressive, urla e rifiuti. È l’instaurarsi di una dissociazione tra le necessità dell’uno e le capacità di comprensione dell’altro; dissociazione che può essere completa (comunicazione interrotta) o parziale e anomala (comunicazione distorta). Le cause di tale dissociazione possono essere molto diverse: una organizzazione neurologica con il prevalere o la carenza di alcune specifiche funzioni, un danno organico limitante lo sviluppo, una situazione genetica che riduce le potenzialità evolutive, una condizione ambientale sfavorevole, modelli evolutivi inadeguati. Anche se le cause della dissociazione nel rapporto tra l’individuo in evoluzione e l’adulto in qualità di modello, possono essere molteplici, il malessere del bambino appare essere la risultante più significativa del rapporto tra le due parti.
Una disfunzione nell’organizzazione funzionale di alcune strutture del sistema nervoso centrale potrebbero impostare un prevalere o una distorsione di una funzione rispetto alle altre, creando una modalità anomala di recepire, differenziare ed elaborare gli stimoli ambientali e propri difficilmente comprensibile alle figure di riferimento evolutivo (basti pensare al problema dell’assenza congenita della funzione visiva e la frequenza delle atipie evolutive o le difficoltà del sordo congenito non precocemente riconosciuto).
In tal caso l’eventuale strutturazione psicotica sarebbe imputabile non alle carenze funzionali, ma alla difficoltà di comprendere, da parte dei modelli evolutivi, la diversa organizzazione e quindi l’incapacità di apporto di stimoli appropriati. In eguale maniera, nel caso di una organizzazione deficitaria per una sindrome da lesione organica o genetica, sussisterebbero le potenziali condizioni per un alterato rapporto di aiuto evolutivo. In tali situazioni le figure parentali, anche se potenzialmente adeguate, si troverebbero nella condizione d’impossibilità a rispondere in modo adeguato ad una organizzazione neurofunzionale complessa e anomala.
Sintomi da stress evolutivo
L’encefalo è abituato a cogliere alcuni stimoli come privilegiati e dare significati particolari a quella esperienza in base alle motivazioni (Luria, 1973). Le nuove esperienze ci orientano a dare maggiore pregnanza ad una sensazione che imprime un vissuto particolare e potenziato rispetto alla globalità dell’esperienza (Fig. 1). Anche per questa caratteristica funzionale ci dobbiamo domandare come vede e vive le esperienze il bambino con sintomi di tipo autistico?
Le nuove scoperte vengono modellate e vissute dal bambino in funzione delle parti esperienziali che lo hanno maggiormente stimolato; se la situazione ambientale assume aspetti incongrui per le sue potenzialità anche il vissuto dell’elaborazione dei dati assumerà connotazioni specifiche che non riusciamo a rapportare alla realtà come è di norma conosciuta. L’adulto nelle novità, anche se alcuni stimoli possono essere più pregnanti, riesce a comprendere l’essenza dell’esperienza per un corretto adattamento alla realtà. Il bambino invece è affascinato da alcuni particolari che eccitano interesse e piacere caricando l’emozionalità e dando significati personalizzati in particolare nei primi anni. Nelle attività ludiche di bambini normali si riscontrano caratteristiche diverse d’interesse per il tipo di oggetto, per il loro colore, per il loro possibile uso, per il tipo di manipolazione, per il loro odore, per le informazioni tattili, per l’uso separato o assieme ad altri oggetti. Alcune di queste caratteristiche possono essere particolarmente accentuate in bambini con comportamento di tipo autistico.
Frith (1989) ritiene che in alcune forme di autismo esista una anomalia nel processamento delle informazioni che determina una prestazione diversa rispetto alla norma; l’autrice specifica che negli apprendimenti vengono colti i particolari (capacità di discriminare) e viene fatta una sintesi per accedere al significato dell’esperienza. L’autrice ritiene che nell’autismo possa esserci una maggiore attenzione ai particolari rispetto al significato dell’esperienza e afferma che possa esserci un eccesso di attenzione e definizione di particolari (frammentazione della realtà) tali da limitare o impedire di accedere al significato globale dell’esperienza (coesione).
I sintomi di tipo autistico dovrebbero essere intesi non primari, ma secondari ad una condizione di organizzazione percettiva anomala o di sviluppo che ha richiesto degli adattamenti a situazioni ambientali non favorevoli. In tali situazioni, indipendentemente dalla genesi, il bambino può trovarsi nella difficoltà di scegliere il percorso evolutivo adeguato, assumendo un comportamento con sintomi di tipo autistico.
Ho identificato lo Stress evolutivo, in queste difficoltà di sviluppo, sostenuto da uno stato confusivo e di sconcerto per l’incapacità di reperire una via di sviluppo della propria carica evolutiva. Il bambino, rimanendo in attesa degli input evolutivi adeguati, attiva un comportamento che facilmente può essere identificabile in una sintomatologia di tipo autistica.
Il comportamento del bambino nel corso del secondo anno e le sue risposte a situazioni avverse di una certa intensità, permette di riconoscere una comunicazione alterata legata al disagio evolutivo. Il bambino può presentare una complessa e variegata costellazione di sintomi: limitazione evolutiva, tendenza alla regressione, momenti d’isolamento, scariche motorie, auto-stimolazioni sensoriali, ripetitività di attività, a volte completo o parziale disinteresse verso l’altro, altre volte permanenza affettiva o approccio corporeo all’altro con modalità particolari, scarso interesse per il nutrimento o tendenza alla selettività dei cibi, intolleranza alle frustrazioni e oppositività, a volte manifestazioni etero e/o auto aggressive, rituali, ecolalia, iper-sensibilità a stimoli sensoriali e soprattutto assente o carente capacità sintonica della emozionalità dell’altro.
I sintomi possono essere diversamente presenti come tipo e intensità espressiva a seconda delle caratteristiche di base del bambino, dei modelli familiari, delle modalità recettive delle sensazioni, del loro tipo di processamento neuropsichico e degli eventi negativi, possono essere variamente tra loro combinati, ma chiaramente sono significativi di uno stato di sofferenza legato all’inadeguata possibilità di progressione evolutiva. La risposta biologica del bambino, per una situazione di malessere scatenata da una situazione di seria difficoltà, allerta i genitori richiedendo un cambiamento di atteggiamento verso il bambino o la richiesta d’aiuto specialistica.
Di norma nel periodo 12-36 mesi, la carenza di adeguati stimoli evolutivi non crea nel bambino un disturbo strutturato, è ancora suscettibile una risoluzione del problema se vengono riconosciute le cause che l’hanno determinato e se queste vengono affrontate con specifiche competenze: terapia del bambino, sostegno genitoriale e collaborazione con le educatrici del nido o con le insegnanti della scuola dell’infanzia. In alcuni casi, con l’intervento precoce all’insorgenza dei sintomi, se il disturbo non presenta segnali di eccessiva gravità, si ottengono buoni risultati anche solo con un valido, specifico e competente supporto genitoriale. Diversamente, se non si interviene sui fattori causali, la sintomatologia tende a strutturarsi.
La terapia esclusiva sul bambino non risulta sufficiente e non risolutiva se viene a mancare il sostegno ai genitori per l’apporto di stimoli evolutivi adeguati. Le caratteristiche comportamentali del bambino si formano ed evolvono all’interno della famiglia e i primi tre anni di vita costituiscono le competenze di base dell’homo sapiens; l’iniziale personalizzazione e il successivo sviluppo potranno riportare gli effetti di questi primi tre anni.
Sarà ugualmente indispensabile la collaborazione con le figure educative del nido o della scuola dell’infanzia anche nel percorso evolutivo successivo
Il comportamento anomalo del bambino a volte può essere il sintomo di una situazione di malessere del nucleo familiare; in questi casi la disponibilità parentale ad affrontare la genesi delle dinamiche e a modificare i codici educativi e le modalità di relazione ha permesso di ottenere ottimi risultati (Russo, 2018).
Sindromi di tipo autistico
La sintomatologia autistica sintetizza il problema fondamentale: il malessere e il disturbo della comunicazione[6] con l’altro e con la realtà oggettiva; la spontanea risposta biologica caratterizza e comunica la situazione di stress del bambino. Questo disturbo della comunicazione può essere inteso come una porta che si apre o si chiude all’altro e alla realtà, a seconda della disponibilità recettiva dell’ambiente ai suoi reali bisogni anche se anomali, in casi gravi questa porta tende a permanere chiusa.
Nelle svariate tipologie con sintomatologia autistica è possibile differenziare due forme.
- Sindrome autistica a lenta comparsa, sostenuta da carenze organizzative percettive su base genetica o disfunzionale o ambientale, senza la presenza di una manifestazione a rapida comparsa di stress evolutivo. Questa forma è caratterizzata da una carenza progressiva di comunicazione affettiva e d’interesse con le figure di riferimento evolutivo, un isolamento e centraggio degli interessi su aspetti particolari delle esperienze, ripetitività, stereotipie, manipolazioni corporee. Per i genitori è difficile localizzare il momento d’inizio della problematica.
- Sindrome autistica da stress evolutivo a comparsa manifesta rispetto alla situazione evolutiva normale, i genitori riconosco bene l’inizio e i sintomi. Questa forma è caratterizzata da una fase di evoluzione con normali acquisizioni e rapporti con l’adulto alla quale segue nell’arco di alcuni giorni il ritiro, la perdita delle competenze acquisite e la comparsa di sintomi di tipo autistico.
Quale è la forma più frequente? Ho pochi casi per affermare quale sia la forma più frequente, a volte è difficile individuare il passaggio da una norma al disturbo, altre volte è bene evidente lo stress evolutivo. Questa suddivisione deve essere confermata, approfondita e studiata la sua frequenza.
L’ipotesi che mi appare più adeguata è considerare l’autismo un disturbo evolutivo polimorfo che può manifestarsi con una sintomatologia poliedrica per le cause che l’hanno generato, per gli aspetti di organizzazione delle diverse funzioni di ricezione e di comunicazione, modellato dagli eventi in corso e dai modelli evolutivi.
Psicodinamica e analisi dei dati
Elencate le diverse impostazioni teoriche, le variabili eziologiche e la pluralità e diversità dei quadri clinici, risulta indispensabile una attenta e competente analisi dei dati della storia evolutiva e delle modalità comportamentali in atto. Anche se molte possono essere le variabili del quadro clinico, appare identificabile un denominatore comune: l’incapacità di aggancio alla nuova vita o il sentirsi incompleto, confuso e non soccorso per le proprie problematiche di rapporto con l’ambiente.
Un corretto inizio di terapia dipende dalla possibilità di conoscere i particolari della storia evolutiva, i tempi e le modalità delle acquisizioni, gli stimoli dell’ambiente e le risposte del bambino, il tipo prevalente di comunicazione dei propri bisogni, l’uso del linguaggio codificato, le modalità di assunzione degli alimenti, il ritmo del sonno-veglia, le funzioni sfinteriche, le variabili del livello di emozionalità in rapporto alle situazioni, l’uso prevalente di canali informativi, il tipo di organizzazione dei processi attentivi, le motivazioni ad agire, le resistenze ai cambiamenti, la presenza di strategie per superare le difficoltà, le modalità di uso del proprio corpo, il tipo di organizzazione delle funzioni vitali, l’organizzazione delle attività motorie, i meccanismi difensivi, l’interesse per l’imitazione, l’uso del simbolico, sono tutti fattori che strutturano il tipo di personalità. Sarà inoltre fondamentale conoscere il diverso comportamento nel percorso evolutivo, le dinamiche nel rapporto con l’altro, il momento di comparsa della sintomatologia che ha determinato la segnalazione e la possibilità di riconoscere eventuali segnali precoci di disturbo, occasionali eventi di significato stressante, eventuali deleghe di cura e tutele del bambino ad altre persone. È necessaria una paziente e competente identificazione dei fattori d’ipotesi causale, delle modalità del percorso evolutivo a partire dalla genesi, del riconoscimento delle motivazioni ad agire e delle eventuali funzioni emergenti. Potere ricostruire la storia del bambino e includere i fattori sopra menzionati, permetterà di comprendere il processo eziopatogenetico e le dinamiche che hanno portato alla situazione in essere.
La comparsa dei primi segnali di anomalia evolutiva necessita di un periodo di latenza che può essere molto breve (autismo precoce) o richiedere diversi mesi o qualche anno (autismo atipico, psicosi disintegrative, manifestazioni autistiche tardive). A volte i fattori a potenziale strutturazione psicotica permangono latenti per molti anni (struttura borderline della personalità) con la possibilità di esplodere improvvisamente nell’adolescenza o nell’età adulta a seguito di fattori intercorrenti.
Identificazione degli obiettivi terapeutici
La prima domanda che dobbiamo porci è “Quale è il bisogno del bambino autistico che funzioni da leva per la conquista di un nuovo percorso evolutivo?” La risposta a questa difficile domanda è situata nel percorso dell’organizzazione del disturbo che man mano si è strutturata a partire da alcune necessità evolutive che non hanno trovato risposta o si sono confrontate con situazioni ambientali inadeguate alle loro potenzialità. È la ricerca degli obiettivi terapeutici sottesi dalla o dalle problematiche di organizzazione neurofunzionale che man mano si sono sviluppate. Una fine analisi dei dati sopra menzionati e della storia evolutiva del bambino ci permetterà di identificare gli obiettivi, ma permane il dubbio sulla validità della priorità e della sequenza del percorso terapeutico e quale riflesso possa avere nell’ambiente familiare e sociale la progressiva elaborazione e sviluppo delle tematiche che si sono sviluppate nel setting terapeutico.
I diversi casi clinici trattati e quelli che ho seguito come supervisore, mi hanno quasi sempre confermato fin dall’inizio la validità degli obiettivi identificati, mi hanno reso consapevole sulla necessità di attendere il giusto segnale dato dal bambino sulla priorità di affronto di una tematica rispetto alle altre. Il potenziale percorso terapeutico viene progressivamente tracciato dal bambino, anche se con salti e ritorni tra le diverse problematiche; sarà importante riuscire a cogliere questi significati, entrare in sintonia con i suoi vissuti e seguire il filo conduttore della sua ristrutturazione evolutiva. Risulta pertanto necessaria una strategia d’impostazione terapeutica che permetta di limitare il rischio di un inizio errato già nei primi approcci. Questo rischio può essere evitato da un’impostazione del setting terapeutico favorevole a permettere al bambino di esprimere la sua fondamentale problematica e diventare autore dinamico delle proprie potenzialità sostenute, stimolate e rafforzate dalla figura terapeutica.
Intervento
Per la necessità di permettere al bambino di ripercorrere alcune fasi evolutive nelle quali si è strutturata la patologia, risulta necessario un tipo di approccio di rispetto alle caratteristiche personali e motivazionali del bambino. Ritengo che il tipo più adeguato per questo scopo sia l’intervento Psicomotorio[7] che permette un approccio sull’agito a mediazione corporea con la figura professionale competente.
Sarà anche fondamentale il supporto ai genitori e ad altre figure che si occupano del bambino (nonni, baby sitter, ecc..) che contempli: un aspetto di accoglienza della problematica parentale e relativa sofferenza, la scoperta di nuove possibilità di rapporto affettivo, un aiuto per il nuovo processo educativo e la collaborazione a costruire una nuova organizzazione e conduzione del nucleo familiare. Se frequenta un nido o una scuola sarà inoltre indispensabile una collaborazione con le figure assistenziali e scolastiche.
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[1]Per stress evolutivo intendo uno stress psico-fisico di varia origine (ricoveri prolungati, cambio della struttura familiare, comparsa di alterazioni o carenze funzionali di alcune competenze neurologiche, serie e improvvise carenze affettive, disattenzioni verso le problematiche evolutive, maltrattamenti, abusi) che determina nel bambino di 12-30 mesi una modalità caratteristica sostenuta da uno stato confusivo e di sconcerto per l’incapacità di reperire una via di sviluppo della propria carica evolutiva.
[2] M. Zappella. Il bambino con l’etichetta. Feltrinelli, 2021.
[3] Al fine di non caricare una innumerevole quantità di dati e autori verranno citati solo quelli più significati delle ricerche recenti.
[4] Alle elezioni politiche del 25/09/2022 i votanti sono stati il 63,95% con una perdita del 9% rispetto al 2018.
[5] Nascita della legge 517 che richiede l’inserimento nelle scuole normali per i bambini portatori di handicap.
[6] La comunicazione consiste nello scambio d’informazioni visive, uditive, percettive corporee e nella capacità di cogliere lo stato emozionale tra due persone che deve essere significativo sia per chi lo invia e per chi lo riceve.
[7] Russo R.C. (2018) Intervento Psicomotorio, pp178-185. In: Russo R.C. Psicomotricità. Nuovo approccio valutativo e intervento globale: terapia psicomotoria, sostegno genitoriali, collaborazione sociale. Casa Ed. Ambrosiana, Milano.
Learn MoreDisturbi psicologici dello sviluppo
Roberto Carlo Russo
L’insorgenza di questi disturbi può essere precoce rispetto alle cause oppure può manifestarsi dopo un periodo di latenza, anche di qualche anno, a seguito di esperienze maggiormente impegnative che fungono da cause scatenanti, ma in ogni caso i nuclei del processo patogenetico risalgono ai primi tre anni di vita. Particolare rilievo viene dato alle caratteristiche neurofunzionali e psicologiche del bambino nel confronto con la tipologia dei modelli ambientali ad effetto prevalente. Appartengono a questa categoria bambini che hanno avuto un accettabile sviluppo psicomotorio e che presentano una discreta evoluzione delle funzioni psichiche superiori, ma che hanno vissuto in modo insufficiente o distorto una o più fasi evolutive sottese da particolari e specifici significati sul piano relazionale. La mancata possibilità di vivere in modo adeguato il significato di quella determinata fase evolutiva, può di continuo riproporre quella modalità relazionale anche nelle fasi successive dello sviluppo o evolvere verso una forma con diverse connotazioni sintomatologiche. Diverse possono essere le cause: in fasi precoci, un rapporto con la figura materna sentito necessario ed ambito, ma insoddisfacente, può portare l’individuo alla ricerca continua di un rapporto di dipendenza di tipo materno nella relazione con l’altro; l’atteggiamento parentale di iperprotezionismo e di limitazione al processo di autonomia e di sperimentazione delle capacità motorie e cognitive, può impostare nel bambino una scarsa fiducia nel sé; un insufficiente confronto con il coetaneo, tra il terzo ed il quarto anno, con scarsa possibilità di sperimentare l’alterno gioco di frustrazioni e gratificazioni e di arrivare quindi alla ricerca di un compromesso socializzante, può riproporre, anche per molti anni, questa modalità conflittuale di porsi in relazione, con l’esito di scarsi risultati socializzanti o di un ritiro ad un livello di sudditanza. A seguito di tali problematiche possono comparire manifestazioni significative di sofferenza tra le quali: oscillazioni del capo o del tronco, stropicciamento frequente di parti corporee, attività orali ripetitive, onicofagia, tics, stati d’ansia, depressioni, reattività, regressioni, ritardi del linguaggio, disturbi del sonno, modifiche del comportamento alimentare.
Questi disturbi sono numerosi e variabili da caso a caso, pertanto non inquadrabili in un breve spazio.
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